Dinosauri e organizzazioni: perché facilitare il cambiamento è meglio che contenerlo

Viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti, in cui l’accelerazione (a volte spontanea, a volte forzata) delle trasformazioni sociali ed economiche ci fa muovere in contesti di grande complessità. Una complessità che, nei sistemi sociali e nelle dinamiche organizzative, è aumentata in modo esponenziale, arrivando a generare scenari impensabili fino a pochi anni fa. Questo porta con sé una domanda cruciale: come ci muoviamo in un mondo che talvolta facciamo fatica a riconoscere, quasi fosse un pianeta inesplorato? In Facilitare il cambiamento (in libreria dal 9 settembre per Ayros editore), Alessandro Rinaldi e Filippo Causero tracciano alcune piste per lavorare sulla risposta. Nicola Gaiarin, che ha collaborato al volume, affronta la questione approfondendo il tema del rapporto fra cambiamento e complessità.


Come abitare un mondo che cambia

Lavorare con le organizzazioni significa soprattutto, negli ultimi anni, cercare di facilitare percorsi di cambiamento. Sempre di più il cambiamento, più che una spinta in una direzione precisa (realizzare un nuovo prodotto, entrare in nuovi mercati, creare processi diversi da quelli già esistenti) rappresenta una specie di atmosfera. Non è tanto diverso da quello che si vede in certi film di fantascienza: gli esploratori spaziali atterrano in un pianeta lontanissimo e scoprono che la cosa più difficile è trovare il modo di abitare un’atmosfera diversa da quella a cui sono abituati.
Il cambiamento non è più una linea direzionata, ma un’atmosfera gassosa che permea il corpo dell’organizzazione.

A proposito di fantascienza, forse ricorderete il film Jurassic Park, di Steven Spielberg. Tratto da un bel romanzo di Michael Crichton, racconta la storia di un bizzarro miliardario che, appassionato di dinosauri, apre un parco di divertimenti a tema preistorico su un’isoletta del Pacifico. Il parco ha in sé qualcosa di completamente nuovo: ricorrendo a una procedura innovativa, gli scienziati che fanno parte del team sono riusciti a riportare in vita un certo numero di creature del Giurassico, che scorrazzano più o meno libere sull’isola. Brontosauri, triceratopi, velociraptor. E, soprattutto, un temibile tirannosauro. Non tutti pensano che ricreare nel nostro tempo un ecosistema preistorico sia una buona idea. A mettere tutti in guardia contro i rischi di una simile operazione c’è il professor Ian Malcolm, vulcanico e bizzarro esperto di teoria del caos interpretato da Jeff Goldblum, che conosce bene l’imprevedibilità dei sistemi complessi.
Naturalmente, le cose andranno secondo le sue previsioni.

Jurassic Park, a pensarci bene, è in fondo una cautionary tale che ci mette in guardia contro i rischi che derivano dalla nostra tendenza a imbrigliare i sistemi complessi utilizzando un approccio troppo schematico. Qual è l’errore del miliardario? Non aver tenuto conto che il nostro mondo non è più quello in cui vivevano i dinosauri: far finta che il cambiamento non sia avvenuto e fingere che i nostri strumenti di realtà siano sempre gli stessi ci impedisce di cogliere la complessità del mondo in cui ci muoviamo.

Gli ecosistemi organizzativi non sono parchi tematici

Il cambiamento non lo puoi creare a tavolino, imponendolo poi a tutti i livelli. Si tratta di un tema con cui chiunque si trovi a lavorare con le organizzazioni deve fare i conti: dobbiamo tenere conto di tutti quegli elementi che, non ancora formati del tutto, caratterizzano lo sviluppo di un sistema in evoluzione. Competenze emergenti, nuovi modelli organizzativi, soluzioni tecnologiche, modalità di confronto partecipative rappresentano le dinamiche che dobbiamo imparare a leggere e a gestire se vogliamo che la complessità da limite si trasformi in risorsa. Insomma, il cambiamento deve essere facilitato.

Facilitare il cambiamento vuol dire aiutare le persone che fanno parte di una comunità organizzativa a sviluppare nuovi mezzi per riuscire a muoversi in un nuovo ambiente. Si tratta di una strana scienza della mutazione organizzativa: come possiamo sviluppare le capacità per muoverci e respirare in un contesto che continua ad evolvere? Per lavorare sulla facilitazione occorre in questo senso mettere a punto una specie di scienza della mutazione continua. Non occorrono solo nuovi strumenti: bisogna sviluppare nuovi recettori in grado di sentire la trasformazione in corso.

Per questo occorre lavorare sulle risorse prima ancora che appaiano come tali. Una delle formule chiave è “competenze emergenti“: individuare e configurare tutte quelle risorse interne alle persone e alle organizzazioni nel momento in cui si stanno formando. Facilitare vuol dire quindi mettere assieme varie sensibilità, nel tentativo di creare delle mappe che ci permettano di capire dove stiamo andando, ricordando sempre che il cambiamento ci spinge in direzioni diverse e a volte contrastanti. Per questo occorre combinare strumenti molto eterogenei, mettendo a punto strumenti per mappare le nuove competenze, tool per allineare il processo decisionale, tecnologie in grado di generare partecipazione.

Ritorniamo al nostro Professor Malcolm di Jurassic Park. Esperto di teoria del caos, ci ricorda l’imprevedibilità di tutti i sistemi viventi. Ed è fin troppo facile per lui capire che l’idea di ricreare dei dinosauri dal DNA contenuto nelle zanzare intrappolate nell’ambra non è poi così brillante! Malcolm non prevede l’esito del tentativo di clonazione, ma sa, per la sua familiarità con i sistemi complessi, che innestare degli esseri del passato in un scenario futuro non potrà avere successo.

La legge di Malcolm per la gestione del cambiamento

Quello che è interessante è vedere come Malcolm reagisce alla situazione di crisi: ci insegna che il caos lo devi cavalcare, non serve a nulla imbrigliarlo. Lo stesso vale per il cambiamento: facilitarlo vuol dire far emergere le spinte personali delle persone che vivono tutti i giorni le organizzazioni, per organizzarle in un modello emergente. Sapendo, come ci insegna Malcolm, che l’ordine è sempre provvisorio. E che accettare questa provvisorietà, questa condizione di incertezza, è il modo migliore per surfare sulle onde del cambiamento.

Se volessimo mettere in fila i punti di un’ipotetica legge di Malcolm per le organizzazioni, potrebbero essere questi:

  • Accompagna i cambiamenti invece di forzarli: se una cosa è passata, non ha senso innestarla in modo artificiale sul presente. Arriva sempre il momento in cui dobbiamo trovare il coraggio di mettere in discussione i modelli che hanno funzionato fino a ieri.
  • Ricorda che una piccola variazione può generare ondate di cambiamento imprevedibili. Anche un piccolo cambiamento tecnologico o di processo può incidere su un sistema organizzativo, facendo emergere rischi ma anche liberandone le potenzialità.
  • Trova le competenze che ti servono per muoverci in sistemi instabili (e non per stabilizzare un sistema in mutamento). Occorre mettere a punto sistemi di emersione e sviluppo delle competenze che ci aiutino a individuare e valorizzare le risorse che ancora non sappiamo di avere nell’organizzazione.

Infine, ricordiamoci che il caos è sempre dietro l’angolo: è importante muoversi seguendo le sue traiettorie, come fossimo dei surfisti del cambiamento.

Sono questi i temi che hanno ispirato la stesura del volume Facilitare il cambiamento ad Alessandro Rinaldi e Filippo Causero (di cui abbiamo già parlato qui), una mappa per attraversare con strumenti innovativi gli scenari di cambiameno nelle organizzazioni.

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