Ernesto Illy: l’imprenditore e la complessità

Anche nel mondo delle organizzazioni capita di incontrare persone con forti tratti sciamanici. Un esempio su tutti può essere quello di uno Steve Jobs (anche se, andando avanti nel nostro viaggio, vedremo quanto abbia in comune con altre figure del villaggio, ad esempio quella del Costruttore), ma anche in Italia i casi non sono mancati, ad esempio Adriano Olivetti. Oggi però voglio ricordarne un altro, che ho avuto il piacere e la fortuna di incontrare: Ernesto Illy.

Una fabbrica con cento camini

Anni fa – era il 2006 – decidemmo di realizzare un documentario che raccogliesse le testimonianze di personaggi provenienti da mondi diversi (cultura, impresa, sport, formazione, ecc.) legati in qualche modo al Friuli Venezia Giulia e che fossero disposti a raccontarci cosa avesse significato e significasse per loro avere il coraggio di essere se stessi. Il risultato fu Riflessi del Sé. Voci, volti e visioni da mondi paralleli, cui siamo particolarmente affezionati perché è stato il nostro primo Emotional Media®, creato appositamente per il Process Counseling Day del 30 settembre di quell’anno, in collaborazione con Antonio Giacomin e la sua Fluido.tv.  Novanta minuti (poi concentrati in una sessantina in occasione alla partecipazione al Trieste Film Festival) di esperienze molto diverse che si incontravano in un dialogo ideale a distanza, in cui flussi di racconto lontani nello spazio erano fusi in un’unica voce che narrava il viaggio di scoperta e manifestazione del Sé. All’invito avevano risposto con la loro presenza Moni Ovadia, Ernesto Illy, Margherita Granbassi, Marco De Eccher, Cesare Pancotto, Giorgio Pressburger, Pier Aldo Rovatti, Don Mario Vatta, Pino Roveredo, Roberto Moroso, Giannola Nonino, e altri.

Uno degli incontri più intensi fu proprio quello con Ernesto Illy. Era estate e faceva caldo quando io, Alessandro e Antonio ci ritrovammo nel parcheggio della Illycaffè a Trieste. Per Alessandro non era la prima volta perché aveva già avuto modo di lavorare con l’azienda e di incontrare E.I., ma per me era una novità entrare in una realtà di quel tipo, perché all’epoca mi occupavo soprattutto di cinema e di organizzazione di eventi culturali. Ricordo il signor Illy (strano adesso parlane così, perché quella volta ci demmo tutti del tu) come un signore quieto, gentile e sorridente, dall’espressione “limpida”, la classica persona di cui senti istintivamente di poterti fidare. Esteriormente era quindi molto distante dall’immagine che, di solito, abbiamo di una personalità sciamanica. Ricordo quanto mi stupì attraversare i corridoi della produzione insieme a lui e vedere con quanto rispetto e affetto venisse salutato e accolto dai dipendenti. Dopo un caffè di rito, come ricorda Alessandro quando racconta lo Sciamano nel libro che accompagna The Village, ci portò in “una sala di grande forza rituale: erano presenti tutti i modelli di macchine da caffè che hanno segnato la storia della Illycaffè. In quasi due ore, gestite assolutamente a braccio, di parole, ricordi, ipotesi scientifiche, riflessioni sulla bellezza e sull’amore, eravamo rapiti dalla forza e dall’amorevolezza con cui Ernesto esprimeva una visione totale. La cosa che mi ha colpito di più, che ricorda uno degli atteggiamenti fondamentali dello Sciamano aveva a che fare con la modalità di comunicazione: il suono della voce, la forza dello sguardo costantemente in bilico tra dimensione interna e dimensione esterna, le mani che sembravano animate solo per trattenere i concetti fondamentali nello spazio. Sembrava di sentir parlare un uomo che continuava a sognare, che sentiva l’urgenza di continuare a scoprire, come se fosse sempre con lo sguardo alla fine di un lungo viaggio e con le gambe all’inizio della strada”.

Eravamo ammirati di fronte a questo signore ormai avanti negli anni che ci raccontava – inframezzandola ai ricordi personali e alla spiegazione di teorie scientifiche raffinatissime – la sua visione dell’impresa, tutta costruita attorno alla valorizzazione del talento, perché è il contesto imprenditoriale che deve favorire l’espressione dell’unicità della persona:

Fra i tanti concetti profondi e semplici allo stesso tempo che gli ho sentito esprimere durante quel pomeriggio, uno mi è rimasto impresso, quello sul valore della complessità e sull’importanza dell’amore come unico attrattore in grado di rimettere un po’ d’ordine nel caos delle interazioni umane:

Ricordo pure il dispiacere che provai alla notizia della sua scomparsa, avvenuta un paio di anni dopo, e la pagina del Piccolo che gli dedicarono tutti i dipendenti per salutarlo in modo collettivo. In qualunque altro caso, avrei sorriso dell’operazione, ritenendola forse un’iniziativa dell’ufficio stampa aziendale per dare un’immagine migliore e diversa dell’uomo e dell’imprenditore, ma quella volta – ricordando l’espressione che avevano negli occhi le persone e l’entusiasmo con cui lo salutavano al suo passaggio – non ebbi dubbi che il saluto fosse sincero. Ricordo di aver pensato che l’impresa italiana avrebbe tanto bisogno di persone di tanta umanità e intelligenza e lo penso ancora di più ora che conosco meglio il mondo delle organizzazioni.

In una vera trance, a un certo punto Ernesto chiuse gli occhi e attinse al mondo dei ricordi più remoti e, tornando bambino, prima di salutarci, ci disse: “quando ero piccolo, mi chiedevano spesso cosa avrei fatto da grande. Io rispondevo: costruirò una fabbrica con cento camini. Questa ne ha solo sette ma sono camini grossi. Sono contento lo stesso”!”

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Image © The Manatee Institute

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