Propaganda, conversazioni e community management: lati oscuri e funzione odierna del Narratore

Le narrazioni, anche le più grandi, possono cambiare il corso della Storia in direzioni imprevedibili, guidando – attraverso il controllo sull’immaginario – le scelte di popoli interi. Non solo perché presentano una storia sempre e solo dal punto di vista di chi la racconta, ma perché hanno il potere di far sognare le persone. I sogni sono quello che ci fa immaginare un futuro alternativo alla realtà che viviamo e tanto più questa è insoddisfacente tanto più il miraggio di un futuro migliore ci affascina. Il Narratore ha per questo un grande potere e deve decidere come usarlo, deve assumersene la responsabilità, se non vuole rischiare di diventare incantatore di serpenti e venditore di fumo.

Ecco perché è importante che il Narratore si accompagni alle persone giuste. Pensiamo quanto può essere positiva la sua opera se mira a sostenere il lavoro paziente di un Costruttore che opera per il progresso sociale, per esempio. D’altra parte, può capitare che il Narratore decida di raccontare le storie di qualcun altro, sposando l’idea di futuro di uno Sciamano, un visionario, l’anticipatore di futuro per eccellenza. Se questo Sciamano, però, immagina scenari futuri fatti di sopraffazione, dominio e intolleranza e riesce a portare dalla sua parte un Narratore abile, sarà molto difficile smontare la loro narrazione congiunta.
“Il giusto e la verità trionfano sempre sopra questo mondo”. Bellissime parole se a pronunciarle è un Narratore che si fa portavoce di una visione del mondo improntata a valori positivi come la fratellanza, la tolleranza, il rispetto, il dialogo. Peccato che queste siano le parole pronunciate il 19 aprile 1945 dal ministro della propaganda nazista Joseph Goebbels in quello che fu il suo ultimo discorso in pubblico. Goebbels il Narratore che veicola la visione di futuro di uno sciamanico Hitler. Uno scenario da incubo, in cui la parola non è più veicolo di un gruppo, di una cultura, ma si presta a diventare strumento di imposizione di una visione. Il racconto si fa propaganda.

L’avvento di Internet ha scombinato, almeno in parte, le regole del gioco della narrazione. Di sicuro, ha messo in crisi quella forma particolare di narrazione che è il giornalismo. Le nuove tecnologie, soprattutto quella mobile, e i dispositivi di geolocalizzazione hanno reso raggiungibile, tangibile e accessibile in tempo reale a chiunque disponga di uno smart phone il mondo che un tempo era solo di viaggiatori ed esploratori. In ogni momento possiamo dire agli altri dove siamo, vedere dove sono loro, far vedere loro quello che i nostri occhi vedono oppure raccontarlo in diretta. Questo ha cambiato il modo di interagire delle persone, l’accesso alle informazioni e il modo di scambiarsele e, di conseguenza, anche le narrazioni. Per esempio, uno dei fenomeni più interessanti degli ultimissimi anni è quello del giornalismo partecipativo, quello fatto da giornalisti non professionisti (ma anche da persone comuni) che si trovano più o meno per caso ad assistere ad eventi che potrebbero avere una certa rilevanza e li documentano, spesso anche fotografandoli. Pensiamo al ruolo (ancora tutto da valutare) che hanno avuto social network come Facebook e Twitter e la rete in generale nell’alimentazione e diffusione delle rivolte popolari che hanno incendiato la fascia del Maghreb nel 2011. Il potere dirompente del mezzo tecnologico, che consente la condivisione immediata della partecipazione a una manifestazione o a qualunque altro evento di massa, si è evidenziato in maniera così forte che qualcuno ritiene che la sollevazione egiziana contro Mubarak vada ribattezzata “la rivoluzione di Twitter”.

L’interconnessione resa possibile dal web 2.0 ha trasformato quindi quello che prima era broadcasting, “trasmissione” di contenuti in un’unica direzione, in conversazione e questo pone delle questioni cui il Narratore non può sottrarsi. La conversazione riguarda qualunque tema, realtà pubblica e privata, ma anche le singole persone e il Narratore può farne parte solo se accetta di stare al gioco, solo se è disposto ad ascoltare quello che hanno da dire gli altri prima di esprimere il suo pensiero o raccontare una storia.

Tutto questo ha importanti risvolti per il mondo delle organizzazioni, per esempio, perché le obbliga a ripensare le modalità di creazione e diffusione di quella che è la loro narrazione principale (oggi si chiama storytelling) ovvero il brand. In un mondo interconnesso, in cui hanno luogo continuamente conversazioni su ogni cosa, è chiaro che non è più pensabile un’unica versione “ufficiale” di una storia, la mancanza di verifiche, l’accettazione di un messaggio che viaggia a senso unico: la narrazione presuppone un feedback (e il coraggio di gestire anche quelli negativi).
Sul piano aziendale, queste conversazioni, se portate avanti nel modo corretto e integrandosi con la strategia aziendale, possono diventare un modo per creare valore. Ecco che il Narratore può diventare cerniera fra mondi diversi (che è poi il suo “mestiere di sempre”), raccontare la visione di un’organizzazione all’esterno, stare in ascolto delle conversazioni che hanno luogo attorno a un prodotto o a una realtà aziendale, aiutare le organizzazioni a parlare con quelli che dovrebbero essere i destinatari della sua attività. Diventando amico delle nuove tecnologie e cogliendone il grande potenziale in termini di empowerment per le persone, il Narratore può diventare realmente lo strumento di collegamento fra interno ed esterno di un’organizzazione.

Deve però accettare che le storie nascono ormai da una narrazione condivisa, che in una storia ci sono tante storie, perlomeno tutte quelle di coloro che prendono parte alla conversazione globale in corso oggi.

 

I contenuti di questo post sono rilasciati con licenza Creative Commons 3.0 (CC BY-NC-SA 3.0).

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