Donne e impresa: un modo per uscire più in fretta dalla crisi?

Pochi giorni fa è uscito su Linkiesta, un bel post dal titolo  Piccole ma buone, le imprese donna resistono alla crisi. Fra i molti dati interessanti che contiene, spiccano quelli sulla capacità delle imprese cosiddette “rosa” di reggere meglio alla crisi economica rispetto a quelle maschili. Ma la strada per le donne che vogliono fare impresa è ancora lunga e difficile, e non solo per motivi legati al momento di crisi che stiamo vivendo.

Alcuni dati da cui partire:

Su 30mila aziende artigiane in meno, solo 593 imprese femminili hanno chiuso i battenti (dati Osservatorio nazionale sul credito Artigiancassa). E secondo l’Osservatorio dell’imprenditoria femminile di Unioncamere, alla fine del 2012 sono addirittura aumentate dello 0,5%, con una crescita superiore a quella del totale delle imprese nazionali (+0,3%). Risultato: 7.298 imprese donna in più. La crescita riguarda tutte le regioni, fatta eccezione per Molise (-1%) e Friuli Venezia Giulia (-0,79%). In testa Lombardia (+1.928 imprese), Lazio (+1.555 imprese) e Toscana (+1.286 imprese).

L’autrice, Lidia Baratta, sceglie un punto di osservazione tutto al femminile per raccontare uno spaccato di paese cui si dedicano ancora troppo poche attenzione e risorse: l’imprenditoria femminile nelle sue diverse forme (dalla piccola società alla grande impresa) viene descritta attraverso le voci di donne che ogni giorno combattono per far sopravvivere la propria azienda, fra le mille difficoltà della congiuntura economica e dei pregiudizi. Le esperienze di Silvia Garda, Carla Delifino, Maria Fermanelli ci parlano di ostacoli oggettivi, di un welfare che non aiuta donne e uomini a trovare un bilanciamento fra vita famigliare e professionale, ma anche di resistenze culturali che si riflettono, per esempio, nel fatto che le imprenditrici faticano di più a ottenere i prestiti dalle banche (l’articolo cita uno studio del 2008, realizzato da Alesina, Lotti, Mistrulli, che dimostrava come anche gli interessi pagati dalle donne sono più alti rispetto a quelli che vengono chiesti agli uomini).

Il lavoro da fare è ancora tanto, ma gli esempi positivi ci sono. Maria Fermanelli, vicepresidente di Cna impresa donna, per esempio, racconta che «il presidente nazionale degli autotrasportatori di Rete imprese è una donna e nella regione Toscana per il settore delle costruzioni alla guida c’è una imprenditrice».
E se la soluzione fosse proprio questa? Accettare la sfida di mettersi alla prova anche in settori considerati tradizionalmente maschili?

Questi e altri spunti nell’articolo citato, che potete leggere integralmente QUI.

 

I contenuti di questo post sono rilasciati con licenza Creative Commons 3.0 (CC BY-NC-SA 3.0). L’immagine in evidenza è di Brett Ryder ed è presa da QUI.

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