Quale futuro per l’impresa sociale? Il dibattito è aperto, anche su Twitter

Per fortuna, l’innovazione sociale è diventata di moda. Nell’ultimo periodo, sono nati anche da noi incubatori e iniziative che ne fanno il fulcro della loro ricerca di nuovi progetti di impresa: da MAKE A CUBE³ (incubatore specializzato in imprese ad alto valore sociale e ambientale) a cheFare, piattaforma per le imprese sociali (profit e non profit) che operano in ambito culturale, passando per l’ambizioso progetto di Telecom ItaliaChangemakers for EXPO Milano 2015, alla ricerca di 10 progetti di innovazione che siano capaci di migliorare la vita di (almeno) 10 milioni di persone. Noi stessi, stiamo seguendo dall’interno la nascita e lo sviluppo di FAB!, un generatore di imprese ad alto impatto sociale, il primo in Italia creato da una cooperativa sociale.
Che dire del contributo che sta poi dando la rete internazionale HUB, i cui punti di snodo sono rappresentati da spazi molto belli, al cui interno “imprenditori, creativi e professionisti possono accedere a risorse, lasciarsi ispirare dal lavoro di altri, avere idee innovative, sviluppare relazioni utili e individuare opportunità di mercato”? Un’esperienza internazionale che è sbarcata per la prima volta in Italia a Milano, ma che si sta allargando su tutto il territorio nazionale, con sedi che vanno da Rovereto a Bari.
Anche il mondo dei social network ha raccolto la sfida di ripensarsi in chiave di sviluppo sociale, con piattaforme dedicate come Shinynote e Uidu.
Ovviamente, ci sono il bando del MIUR a sostegno di idee progettuali per la progettazione e lo sviluppo delle smart cities (in scadenza a breve) e l’inserimento, all’interno del rapporto redatto dalla Task Force del Ministro Passera su Innovazione e Start Up, di una sezione dedicata alle “start-up a vocazione sociale”.

Anche i contributi teorici e la condivisione di best practices sono tanti e in aumento. Basti pensare a progetti come gli Stati Generali dell’Innovazione, al lavoro di elaborazione di realtà come Iris Network (la rete nazionale degli istituti di ricerca sull’impresa sociale), agli approfondimenti sempre interessanti che si possono leggere su siti come Avanzi (dove Davide Zanoni ha pubblicato una rappresentazione grafica dei vari modelli di impresa sociale in Italia, in un post intitolato in modo significativo Il labirinto dell’impresa sociale) o Idea360 (che ha aperto da poco il nuovo blog, dove sul tema “innovazione sociale” si possono leggere – fra gli altri – gli interventi di Flaviano Zandonai, Alex Giordano e Paolo Venturi), ma anche ai post dedicati alla social innovation su Chefuturo.it. Solo per citarne alcuni.

Nell’aria si respira insomma il fermento e l’entusiasmo di un’avventura (sociale, imprenditoriale e soprattutto umana) che promette di rivoluzionare alle fondamenta il nostro modo di fare impresa e di rapportarci con l’ambiente, ma anche i rapporti fra le persone e fra i cittadini e le istituzioni.

Negli Stati Uniti hanno iniziato prima di noi a porsi la questione su quale potrebbe essere l’evoluzione dell’impresa sociale e il dibattito è molto fiorente. Alla domanda sul futuro del settore proverà, per esempio, a rispondere il fondatore di Ashoka, Bill Drayton, in un’intervista che sarà rilasciata al «New York Times» il prossimo 29 novembre. Nel frattempo, sfruttando le possibilità di confronto e scambio offerte dai social network, la conversazione/discussione sul tema è già iniziata su Twitter, dove si può seguire con l’hashtag #FutureSocEnt

I temi che gli utenti di Twitter hanno deciso di affrontare con #FutureSocEnt sono diversi. C’è chi è sicuro che le imprese sociali sapranno intervenire sulle cause di sistema che generano le ingiustizie sociali, abbandonando l’ossessione per il mercato…

…e chi scommette sui cambiamenti determinati da un cambio di paradigma che abbia al centro l’utilizzo condiviso e trasparente dei dati:

La stragrande maggioranza dei tweet, però, è quella che linka o riporta estratti di un altro interessante contributo di approfondimento che viene da Eli Malinsky, executive director del nuovo Centro per l’innovazione sociale di New York. Malinsky fa 5 previsioni sul futuro dell’impresa sociale. Vediamole in breve [la versione estesa e in inglese la trovate QUI].

Secondo Malinsky:

1) L’impresa sociale non esisterà più come categoria a se stante. Il che, spiega, Malinsky è assolutamente un bene perché mentre finora è stato un vantaggio considerarla come settore separato (il che ha consentito di attirare attenzione e  risorse su un settore che ha bisogno di crescere e, quindi, di far nascere nuove imprese), negli anni a venire l’imprenditoria sociale dovrà permeare in modo trasversale tutti i settori e gli ambiti. Quando ciò avverrà sarà normale interrogarsi sulla componente di innovazione sociale di ciascuna impresa e questo determinerà un vero cambiamento sociale su larga scala.
È poi quello che auspica Ashoka stessa sul suo account Twitter, quando si chiede come sarebbe il mondo se tutti gli imprenditori fossero imprenditori sociali in un senso più ampio:

2) Si ragionerà meno su margini di profitto elevati e più su cosa significhi avere una missione da compiere. Le imprese sociali sapranno dimostrare di essere non solo sostenibili, ma anche profittevoli. Non tanto, però, quanto vorrebbero i loro fondatori, che dovranno fare un “bagno di realtà”. Come dice chiaramente Malinksy: «Avere successo nel mondo del business è già difficile, riuscirci quando la tua impresa ha una mission sociale lo è il doppio».

3) L’impatto sociale più grande nascerà dallo spostamento d’asse all’interno delle aziende. Il fermento attorno alla creazione di imprese sociali è grande e positivo, ma l’impatto sostanziale – quello che contribuirà a cambiare in modo definitivo il modo di fare le cose – arriverà da una presa di coscienza del mondo dell’impresa tradizionale e da un cambiamento dei comportamenti aziendali.

4) La valutazione di impatto sociale sarà sempre più complessa e integrata appieno nell’analisi organizzativa. Misurare l’impatto sociale reale di un’impresa è difficile, perché non c’è una definizione comune degli indicatori e perché la materia è in se stessa sfuggente: come faccio a calcolare un beneficio che può essere solo in parte monetizzabile? (Più difficile da stimare c’è solo il ROI dei social media!) Il problema riguarda ovviamente gli investitori, che avrebbero bisogno di sapere in anticipo a cosa vanno incontro nel momento in  cui scelgono di sostenere un’impresa sociale. È logico che, facendo seguito al punto 1), Malinsky ritenga che i parametri di misurazione dell’innovazione sociale saranno integrati negli strumenti esistenti di valutazione organizzativa, parte e non accessorio di qualunque analisi di prodotto o servizio.

5) Gli aspiranti imprenditori sociali devono sapere che la loro carriera seguirà un andamento instabile e in continua riconfigurazione. In altre parole, scordatevi il posto fisso. Volete cambiare la società? Dovrete rassegnarvi ad adattarvi a questo cambiamento, non solo cambiando lavoro e team a seconda del progetto che intendete portare avanti, ma anche lavorando in modo continuo sulle vostre skill.

Forse, proprio in questo ultimo punto sta la vera sfida. Non solo perché affrontare un percorso professionale (e di vita) che si sa fin dall’inizio mutevole per definizione  richiede coraggio, ma anche perché in questo scenario dipinto da Malinsky (ammesso che ci abbia visto giusto con le sue previsioni) sarà fondamentale che ciascuno lavori sul proprio sviluppo personale e professionale, entrando in una logica di “miglioramento continuo” che richiede impegno e costanza. La vera “impresa” sociale potrebbe essere proprio questa, in un paese dove il sistema educativo e quello burocratico-giuridico non sono ancora pronti a sostenere le persone con quegli strumenti e quella libertà di cui c’è bisogno se si vuole cambiare il mondo.

 

I contenuti di questo post sono rilasciati con licenza Creative Commons 3.0 (CC BY-NC-SA 3.0).

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