John Cage, le domande e l’innovazione

Sii paziente verso tutto ciò che è irrisolto nel tuo cuore e cerca di amare le domande, simili a stanze chiuse a chiave e a libri scritti in una lingua straniera. Non cercare ora le risposte che possono esserti date poiché non saresti capace di convivere con esse. Il punto è vivere ogni cosa. Vivi le domande ora. Forse un giorno riuscirai, senza che nemmeno te ne accorga, ad avere le risposte.
Rainer Maria Rilke

Mercante-esploratore è anche chi, oltre a uscire dal villaggio reale in cui vive, sa uscire dai “villaggi” della mente: le comfort zone, quei luoghi protetti (dalla tradizione, dalla consuetudine, dalla pigrizia) che ci portano a fare le cose sempre nella stessa maniera. Per fare questo, occorre cambiare prima di tutto il proprio modo di ragionare, trovare il coraggio di esplorare nuove possibilità di pensiero e di azione per arrivare a soluzioni nuove per problemi antichi.

Di recente, è stata pubblicata una biografia molto particolare di un musicista molto particolare.
Così coraggioso da spostare in modo irreversibile i limiti di ciò che consideriamo “musica” scrivendo un pezzo intitolato 4’33” e fatto unicamente di silenzi, seppur inframezzati da molte pause, John Cage è stato uno dei musicisti più importanti e innovativi del ventesimo secolo.
Il libro si intitola Where the Heart Beats: John Cage, Zen Buddhism, and the Inner Life of Artists ed è ottimamente recensito su Brainpickings. Nel post, si cita un estratto in cui Cage racconta il proprio rapporto con le domande:

“Tutto il mio modo di comporre nasce dal porsi domande. Mi viene in mente un episodio avvenuto durante una lezione con Schoenberg. Ci chiamava alla lavagna perché risolvessimo un particolare problema di contrappunto (benché la sua fosse una lezione di armonia) . Quella volta disse: “Quando trovi la soluzione, girati e fammela vedere”. E così feci. Allora, lui disse: “Ora trovane un’altra, per favore”. Gliene diedi un’altra e un’altra ancora finché, dopo la settima o l’ottava, mi fermai un attimo a riflettere e poi dissi con una certa sicurezza: “Non ci sono più soluzioni”. E lui: “Bene. Qual è il principio che sta alla base di tutte le soluzioni che hai trovato?” Non sapevo cosa rispondere, ma l’avevo sempre venerato e a quel punto la mia ammirazione crebbe ancora di più. […] Ho passato tutta la mia vita, fino di recente, sentendolo fare quella stessa domanda, ancora e ancora. E poi, proprio per la direzione che ha preso il mio lavoro, fatto di rinunce rispetto alle scelte e della loro sostituzione con domande, che il principio che stava alla base di tutte le soluzioni che gli avevo portato era la domanda che lui mi aveva fatto (perché di certo non potevano provenire altro che da lì). Credo che avrebbe accettato questa mia risposta. Quello che le risposte hanno in comune è la domanda. Perciò, è la domanda che sta alla base delle risposte”.

Quindi, per trovare risposte alternative (innovative, diremmo oggi) bisogna che impariamo a farci domande alternative. Detta così, sembra facile, ma come si fa a lavorare sulle domande?

 

source: http://bit.ly/OVnZJr

Nel 2010, all’interno di un articolo dal titolo “Think Outside the Building”, Rosabeth Moss Kanter scriveva queste parole:

“Quando si parla di creatività, si usa spesso la metafora del pensare out of the box. Si dà però il caso che le grandi sfide “di sistema” che abbiamo affrontato di recente (la crisi finanziaria, la riforma sanitaria e il cambiamento climatico, solo per citarne alcune) richiedano idee nuove e molto più grandi di una semplice scatola. Le grandi rivoluzioni future arriveranno da quei leader che incoraggeranno un pensiero che travalica i limiti di un intero edificio pieno di scatole. Il pensiero inside the building è il tratto distintivo delle realtà consolidate, le cui strutture inibiscono l’innovazione. Una volta che l’architettura è fissata, gli interessi acquisiti si dividono gli spazi disponibili, rafforzando schemi e pratiche esistenti. Persino chi si trova inserito in questo tipo di contesto ma è orientato al cambiamento dà per scontate le strutture organizzative e di settore e dedica gran parte della propria attenzione a concorrenti simili che si muovono in mercati già raggiunti. Si concentrano su un impiego allargato di capacità esistenti piuttosto che sviluppare nuove soluzioni a problemi emergenti.”

Perché questo avviene? Come diceva Schoenberg, quello che che le risposte hanno in comune è la domanda. Più prosaicamente, potremmo dire che il difetto sta nel manico.
L’urgenza di rispondere a cambiamenti importanti che riguardano l’economia e la società in genere ci costringe a porci la questione su quali siano le domande (e quindi le soluzioni giuste) da porci. Il punto non è più trovare il nuovo prodotto di punta, ma un modo diverso e migliore di vivere insieme su un pianeta a cui abbiamo già chiesto moltissimo.
Ancora la Kanter, che in questo passaggio si riferisce alla necessità di porre mano alle riforme dei sistemi sanitario ed educativo americani, ma in senso più ampio a politiche di reale sviluppo sociale:

“Il progresso richiede un cambiamento istituzionale che sappia reinventare non solo prodotti e servizi, organizzazioni e settori, ma interi sistemi interconnessi. I leader devono pensare outside the building se vogliono ridefinire quartieri, ecosistemi, catene del valore e comunità.”

Occorre farsi domande nuove e avere la forza e l’ostinazione di cercare le risposte migliori. Chi può farlo meglio del Mercante-esploratore che c’è in noi?

Leggi la I tappa: Il Mercante-Esploratore, ponte fra culture
Leggi la III tappaLo scrittore è un esploratore di mondi

 

I contenuti di questo post sono rilasciati con licenza Creative Commons 3.0 (CC BY-NC-SA 3.0). Le citazioni sono tradotte liberamente da me. L’originale inglese di quella di Cage è contenuta nel post su Brainpickings.

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