Le cose che un leader non deve dimenticare di fare (e di dire) per affrontare al meglio l’anno nuovo

Con l’anno nuovo arrivano anche i buoni propositi. La rete si è scatenata come sempre, proponendo bilanci dell’anno terminato e trend per il 2013. I campi investigati sono moltissimi, anche in ambito organizzativo. Molto gettonati i nuovi settori legati al mobile e al mondo delle startup, anche se non tramonta mai il filone dei post di consigli per leader e manager. Abbiamo dato un’occhiata a quest’ultima categoria, ecco gli spunti che abbiamo trovato più interessanti.

Le cose che un leader non deve mai dimenticare di fare (nemmeno nel 2013)

Su Inc.com, Kevin Daum prende le mosse dall’ultimo libro di Seth Godin (The Icarus Deception) per affrontare il tema della leadership e di ciò che occorre per oltrepassare la linea che divide chi segue da chi è seguito. In un articolo dal titolo 6 Things Really Powerful Leaders Do, spiega quali sono le 6 cose che i veri leader dovrebbero fare sempre:

1. Essere autentici: andate fieri di chi siete e costruite attorno a voi ecosistemi in grado di sostenere la vostra visione del mondo.
2. Definire con chiarezza la propria visione e comunicarla a chi la potrebbe trovare interessante: decidete in partenza che caratteristiche devono avere queste persone e rivolgetevi a loro. Ignorate tutti gli altri.
3. Staccarsi da ciò che sanno: il mondo è in veloce e costante trasformazione. Occorre quindi partire da ciò che si sa, ma usarlo per esplorare nuove possibilità.
4. Accettare di essere vulnerabili: il fallimento non piace a nessuno, ma è indispensabile per crescere. Non capirete mai quali sono i vostri limiti se non correte il rischio di sbagliare facendo esperienze nuove.
5. Essere generosi con la propria comunità: condividete con chi vi segue ciò che fate, ma anche ciò che imparate (senza preoccuparvi di raggiungere la perfezione). Date modo agli altri di condividere la vostra visione e siate loro riconoscenti quando lo fanno.
6. Dare tempo al tempo: il tempo può essere un potente strumento di cambiamento, ma la credibilità si costruisce con pazienza.

Sei consigli che parlano, in fondo, della responsabilità che ha chiunque venga riconosciuto come guida da qualcuno. Ma basta questo per diventare un “capo” migliore? Altri spunti interessanti in questo senso li dà il Wall Street Journal, che ha chiesto ad alcuni suoi corrispondenti ed esperti di management qualche consiglio. Ce n’è per tutti i gusti: dall’esperto comportamentista che illustra le possibilità della persuasione fino al consiglio di Rachel Emma Silverman, che invita a usare in modo più saggio il comando “Rispondi a tutti” nelle e-mail. Dovendo scegliere lo spunto che ci piace di più, diremmo che la nostra preferenza va a Cal Newport, il quale spiega l’importanza di uscire dalla nostra zona di comfort. Esperienza dolorosa e difficile, ma unico modo per imparare skill nuove e crescere.

A proposito di nuove skill, merita una lettura l’articolo di Tim Leberecht pubblicato sul sito di Fortune, che – a sorpresa – spiega quali sono le cose che gli imprenditori dovrebbero imparare dagli artisti (What entrepreneurs can learn from artists). L’autore sottolinea il valore aggiunto che l’approccio “artistico” può avere soprattutto per chi decida di buttarsi a capofitto in una nuova avventura imprenditoriale, ma anche in questo caso si tratta di spunti buoni per chiunque si trovi a operare nel panorama complesso delle organizzazioni. Abbiamo scelto per voi alcune voci. Ogni volta che leggete “artisti” fate conto che ci sia scritto “leader”:

1. Gli artisti sono sempre dei “neofiti”, hanno cioè la capacità di guardare al mondo ogni volta con occhi nuovi. Sempre alla ricerca di collegamenti inediti fra le cose, vivono nella costante invenzione e reinvenzione di se stessi, riattribuendo significato alle cose. Se questa non è innovazione, diteci voi cos’è.
2. Gli artisti sono esperti della condizione umana, il che significa che sanno ascoltare i desideri, i bisogni e le emozioni altrui, entrando con loro in un rapporto empatico.
3. Gli artisti si fidano delle proprie intuizioni. In un’epoca segnata dai Big Data, non sottovalutiamo il potere che ha l’intuizione di scovare nessi nascosti fra le cose in modo più veloce e profondo di qualunque flusso di informazioni in tempo reale potrà mai fare.
4. Gli artisti sono dei pensatori interdisciplinari che sanno muoversi fra ambiti diversi. In questo modo, imparano a “unire i puntini” fra elementi all’apparenza molto distanti fra loro. (Da tener presente se ci occupiamo di strategie).
5. Gli artisti sono fantastici storyteller. Tutto ciò che facciamo può essere raccontato, anche il fatto che decidiamo di raccontarlo.
6. Gli artisti sono appassionati del proprio lavoro. Questo significa, fra le altre cose, che ci credono e non si arrendono tanto facilmente davanti a un ostacolo.

Come dev’essere un buon obiettivo? Occhio alle 5 regole!

I propositi di inizio anno implicano di solito la definizione di un punto d’arrivo ideale. Un altro spunto che abbiamo scelto di condividere è perciò quello di Victor Lipman su Forbes (The Best Way For A Manager To Start The Year? Set Clear, Meaningful Employee Objectives), il quale riafferma l’importanza – per i manager, ma non solo – di imparare a definire nel modo corretto i propri obiettivi (e quelli della propria organizzazione). Niente di nuovo, d’accordo, ma si tratta di consigli che è bene ricordare anche in questo inizio d’anno perché rimangono ottimi e valgono sempre! Se sbagliamo nell’identificare i nostri obiettivi, lavoreremo nella direzione sbagliata e ce ne accorgeremo solo quando avremo già speso tempo e risorse preziose.
Come deve essere allora un buon obiettivo?

1. Chiaro. Questa è la regola d’oro: se un obiettivo non è chiaro non viene compreso. Il rischio è quello di gettare le basi per un mare di incomprensioni in fase di valutazione della performance.
2. Misurabile. Se il mio obiettivo è specifico e il più possibile misurabile sono già sulla buona strada perché posso decidere più facilmente quali criteri darmi per stabilire,  alla fine del processo, se ho lavorato bene e nella giusta direzione.
3. Condiviso. Un processo collaborativo tende a promuovere il coinvolgimento dei dipendenti. Inoltre, l’obiettivo sarà più realistico se identificato con l’aiuto di chi è maggiormente a contatto con i problemi del lavoro quotidiano e ne ha quindi una visione più realistica.
4. Significativo (per l’organizzazione). Meglio se l’obiettivo è in linea con gli obiettivi dell’organizzazione perché questo diminuisce i rischi di lavorare in una direzione strategica sbagliata.
5. Ambizioso ma raggiungibile. Va bene che un obiettivo sia un po’ sfidante, ma se è irrealistico sarà molto difficile da raggiungere e produrrà più facilmente frustrazione e senso di impotenza.
È chiaro che se il nostro obiettivo riguarda l’intero anno diventa ancora più importante applicare queste 5 regole d’oro alla nostra riflessione.

Le cose che un leader non deve mai dimenticare di dire

Le azioni sono il nostro modo di intervenire sul mondo, ma non dobbiamo dimenticare che le nostre parole hanno il potere di incidere in modo altrettanto profondo sulle persone che ci stanno attorno, spesso orientando i loro comportamenti.
Vale forse allora la pena di dare una letta al decalogo delle cose che, secondo Sheryl Nance, un leader dovrebbe imparare a dire o a chiedere ai propri collaboratori. In ordine sparso, ci sono “Cosa pensi?” (sull’importanza dell’ascolto), “No” (sulla responsabilità che il leader si deve assumere nel bloccare comportamenti che violino i valori e i principi aziendali), “Non so” (sulla capacità di ammettere i propri limiti) , ma la nostra preferita è decisamente l’ultima: “Grazie!“. Perché nessun leader fa nulla da solo e non deve mai dimenticare che è inserito in un ecosistema che funziona non per lui, ma grazie a lui (o a lei, ovviamente) e al lavoro di tante altre persone.

A proposito di questo, uniamo quest’ultimo consiglio a quello che dà George Ambler ai leader, affinché ricordino sempre che il loro compito principale consiste nel guardare la realtà per ciò che è e non per ciò che vorrebbero che fosse (il che, ancora una volta, non dovrebbe solo riguardare i leader, ma tutti noi), e chiudiamo con una citazione con cui ci sentiamo di essere d’accordo, perché riporta l’attenzione sulla responsabilità (sociale, ci verrebbe da dire) del leader:

“La prima responsabilità di un leader è quella che consiste nel definire la realtà. L’ultima è quella di dire grazie. Fra questi due momenti, il leader è un servitore”.
Max DuPree, Leadership is an Art

I contenuti di questo post sono rilasciati con licenza Creative Commons 3.0 (CC BY-NC-SA 3.0).

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